Non piangete la mia morte by Bartolomeo Vanzetti

Non piangete la mia morte by Bartolomeo Vanzetti

autore:Bartolomeo Vanzetti [Vanzetti, Bartolomeo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Nova Delphi
pubblicato: 2019-05-06T22:00:00+00:00


16 aprile 1925

Carissima zia Edvige,

come ho altre volte detto: io confido e sono quasi sicuro che Luigina vi dia mie notizie e vi faccia leggere le mie lettere dirette a lei, in cui io ti ricordo e ti saluto sempre, come pure ricordo e saluto la zia Maddalena, i parenti tutti e gli amici. Però siccome ora ho il tempo e il necessario, mi accingo a scriverti ciò che da lungo tempo desidero e che avrei di già dovuto fare. Gli ignari (beati loro) credono che un prigioniero non abbia occupazione e lavoro. Io invece sono sempre occupato. In prigione lavoravo otto ore al giorno; andavo a scuola tre sere la settimana, leggevo libri e giornali; ricevevo e tenevo una discreta corrispondenza. Qui non si lavora – stiamo per circa tre ore al giorno – parte al mattino e parte al pomeriggio – nel cortile; si gioca, si conversa e si passeggia. Passo le altre ore del giorno leggendo, cantando, o scrivendo. La prigione si trova in una bassa località, accanto a un deposito ferroviario, nel mezzo di un centro industriale, ed è stata costruita da molto tempo; perciò lascia, igienicamente parlando, molto a desiderare. Questo sanatorio è invece situato in una aperta valle, circondato da foreste e da boscosi colli. L’aria è pura e libera e il sole ha buon gioco qui, essendo la costruzione molto ariosa. Oltre a ciò, la vista della campagna rallegra e abbiamo della buonissima acqua sorgiva. Dato che qui le visite – come regola – sono date quotidianamente dacché sono qui ho riveduti molti amici che non vedevo da anni. Ho visto più volte Francesco Caldera, sua moglie Paolina e i loro due figli, come ho visto Felice Milone e la sua bambina e Luigi Milone e sua moglie. Molti amici di Plymouth mi vennero a vedere: tutti mi portarono della frutta, dei sigari e dei cibi. Quelli del Comitato di difesa vengono non meno di tre volte al mese. Amici lontani mi scrivono sovente, alcuni chiedendomi ciò che necessito, o mandandomi libri, giornali e riviste, o soldi.

Da quanto ho detto arguirai facilmente che io sto meglio dacché sono qui e che la mia prigionia è raddolcita dall’immenso conforto della stima e dell’amore di tanta gente. Qui hanno molta paura di me e sono ostili ai miei principi e ai miei compagni. Però non osano o non vogliono abusare – sarebbe, del resto, molto arduo perché io mi impongo, protesto e mi ribello. Alla prigione ero invece molto ben voluto. Due settimane fa, ho visto l’avvocato che è un pezzo grosso. Egli ride rumorosamente e si mostra ottimista – non garantisce né specifica alcunché – ma parla di deportazione. Non ho mai confidato nella giustizia costituita – e tanto meno confido ora, dopo la tragica esperienza avuta con quella meretrice. Ma il fatto sta che: l’avvocato è un uomo di grande influenza; lo Stato è stanco della nostra causa; gli uomini che ci processarono sono attualmente fuori d’ufficio; la gente è sempre più



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